Prima di inoltrarci negli aspetti legati alla terapia con i transessuali, è doveroso riferirci alla legge 164 del 14 Aprile 1982 “norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”, con la quale è stato reso legale l’intervento di adeguamento dei caratteri sessuali ed è stata resa possibile la rettificazione anagrafica. La legge suddetta prevede che, a seguito di domanda di rettificazione di attribuzione di sesso, il giudice istruttore disponga le consulenze per accertare le condizioni psico-sessuali dell’interessato.

Prima di inoltrarci negli aspetti legati alla terapia con i transessuali, è doveroso riferirci alla legge 164 del 14 Aprile 1982 “norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso”, con la quale è stato reso legale l’intervento di adeguamento dei caratteri sessuali ed è stata resa possibile la rettificazione anagrafica. La legge suddetta prevede che, a seguito di domanda di rettificazione di attribuzione di sesso, il giudice istruttore disponga le consulenze per accertare le condizioni psico-sessuali dell’interessato. Le domande che si insinuano e non possono essere escluse come variabili intervenienti in una psicoterapia sono diverse:

  • Quando e chi stabilisce se è necessario effettuare l’intervento di adeguamento dei caratteri sessuali?
  • E soprattutto se si vuole un pieno riconoscimento legale del proprio sesso anagrafico, la legge impone che ci si debba sottoporre a un intervento invasivo e di notevole entità. È etico e funzionale?

Approfondendo la legge, ma sarebbero già sufficienti i due quesiti posti sopra, si può affermare che per la legge il transessuale è un malato da correggere e quindi si negherebbe il diritto all’identità sessuale così come terzo sesso.

Alla luce di tutto ciò possiamo dire che il focus maggiore della terapia è consentire alla persona di effettuare l’iter o ciò che sceglierà come possibile via, con la minor sofferenza possibile, inoltre il nucleo centrale delle argomentazioni ruota intorno all’idea di cambiamento del corpo, così da trovare una coerenza tra soma e identità. Alla luce di quanto detto, spesso la psicoterapia è considerata dal transessuale come uno scomodo step di una serie di iter burocratici, ma quindi come rendere funzionale il tempo nella stanza di psicoterapia?

Possiamo partire dal presupposto che un transessuale non ha come problema l’identità, ma il corpo; esso dubita del corpo, è il corpo che inganna e tradisce, che non sembra essere coerente con come ci si sente. Essendo quindi il corpo transessuale un corpo sconosciuto, uno dei primi lavori sarà quello legato all’esplorazione di questo corpo tanto inaffidabile e incoerente, per poi esplorare anche il corpo di cui non si è fatta esperienza, al di la dell’essere uomo o donna. La dicotomia essenziale su cui si fonda la sofferenza del transessuale è la dicotomia tra l’apparire e l’essere, tra ciò che si vede e ciò che si sente; compito principale del terapeuta sarà porsi con una accettazione incondizionata dell’identità transessuale. Il secondo punto riguarda la demitizzazione dell’intervento chirurgico: non soltanto per alleggerire la pressione percepita, ma anche per osservare che la persona transessuale esiste a prescindere da cambiamenti somatici, è un riconoscimento totale del fatto che il paziente esiste in quanto tale. Rispetto al tema dell’intervento, esso si prenderà in considerazione come opzione valutandone gli aspetti vantaggiosi e svantaggiosi. Un passo fondamentale poi è l’esplorazione dell’identità negata, attraverso una base sicura fornita dalla presenza e dalla relazione con il terapeuta, il transessuale potrà ricostruire le tappe in cui c’è stata una identificazione mancata, discutendo anche il rapporto con le figure significative. Solo successivamente potremmo esplorare il tema del soma, iniziando ad essere disposti intanto a percepirlo come proprio, non necessariamente ad apprezzarlo. Gli strumenti potranno essere anche una serie di compiti percettivi specifici. Sarà poi importante esplorare i significati inerenti l’identità affermata, per giungere poi al lavoro sulla coesistenza e compatibilità dell’identità affermata e negata.

Il senso della terapia è quello del pieno riconoscimento del corpo transessuale come corpo sano ed esistente, la coesistenza e compatibilità dei diversi contenuti dell’identità, sia quelli negati che quelli affermati può portare il transessuale ad un lavoro che si scioglie da un riconoscimento sociale e verte alla costruzione della propria personale identità sessuale, oppure ad un percorso di adeguamento consapevole del suo significato.

In un’ottica costruttivista la terapia con i transessuali, ma in genere, è mossa da un principio di autodeterminazione della persona, quindi si slega da percorsi “normalizzanti”; anche per questo l’idea di base è che la legge 164 inizi a essere modificata per un pieno riconoscimento dell’esistenza della persona transessuale.


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